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Capitolo IX

L'equipaggiamento addosso

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“Ma che cazzo fa il Dedo? Sono le undici e mezzo passate”, dice Mauro. “E’ proprio un coglione – gli fa eco Giacomo - Sarà possibile che mi sono alzato in tempo io, che ieri sera ero un mostro, mentre lui magari è ancora a letto?”. “Sì, ok Rana, sei arrivato puntuale, ma resta il fatto che sei un cretino – lo critica Roberta – C’era bisogno di fare quella scenata e farci buttare tutti fuori ieri sera?”. “Quel camerierino di merda mi aveva fatto incazzare, che ci posso fare? – replica Giacomo – Per il resto mi dispiace, vi chiedo scusa. Ma tra poco quello che dovrà chiedere scusa a tutti sarà un altro. Il Dedo ancora non è arrivato”. “Ora non è che voglio fare la parte della ‘fidanzata che lo conosce meglio dei suoi amici’ – interviene Carolina – ma il Dedo è un ritardatario cronico. Non esiste che arrivi puntuale a un appuntamento. Potete accordarvi all’infinito, ma tanto lui arriverà comunque quando gli pare”. “Però alla fine arriva sempre...”, si sente una voce alle loro spalle. E spunta Alessandro, zaino in spalla e casco alla mano, un po’ assonnato. “Eccolo, il coglione - dice Mauro – Possibile che anche oggi sei dovuto arrivare in ritardo?”. “Eh... Non ho sentito la sveglia”, replica Alessandro. “Sì vabbeh – lo attacca Giacomo – Dinne meno di cazzate. Sarai stato al cazzeggio le ore come sempre”. “Ma che cazzo vuoi Rana? – replica Alessandro – Dopo quel numero che ci hai fatto ieri sera, abbi almeno la decenza di stare muto”. “Anche te con questa storia? – risponde alterato Giacomo – Ho già chiesto scusa a tutti. Se arrivavi puntuale lo sentivi anche te...”. “Ok, basta ragazzi – si mette in mezzo Mauro – Ritardo o non ritardo, siamo corti con i tempi. E’ quasi un quarto a mezzogiorno. Se ci sbrighiamo siamo pronti per mezzogiorno in punto e si parte. Dobbiamo percorrere circa due chilometri e mezzo di tunnel, al buio e stando molto attenti a dove mettiamo i piedi. Penso che un paio d’ore almeno ci si mettano. Muoviamoci a vestirci”, e apre lo sportello posteriore della sua auto, prende il borsone da calcio e tira fuori il primo paio di stivali da pescatore, che porge a Roberta. “E questi come cavolo si infilano? – gli chiede lei – Vanno cavati i pantaloni?”. “Zara, amore mio – risponde Mauro – Lo sai che mi piace un sacco quando ti cavi i pantaloni, ma in questo caso non è necessario, tienili sotto gli stivali, sennò la plastica a contatto con la pelle magari ti fa venire un’irritazione”. Roberta lo guarda tutta arrossita. “Ok, amore. Farò così”. E apre lo sportello del passeggero della macchina di Mauro, si mette a sedere e comincia a slacciarsi le scarpe. “Dai, mettetevi ‘sti stivali anche voi - dice Giacomo – Io ce l’ho già addosso che l’ho fregati al mì babbo stamani”. E piano piano tutti cominciano a vestirsi. “Mica facile infilarsi questi attrezzi”, commenta Alessandro mentre cerca con qualche fatica di calzare gli stivali. “Vai, ci siamo”, commenta Mauro, già pronto a tempo di record. E riapre il borsone da calcio. “Ecco le torce, ce n’è una per uno”. Dopo averle provate per dimostrarne l’effettiva funziolaniltà comincia a passarle agli amici. “Ah prendete i caschi ragazzi, che non si sa mai. Nel caso disgraziatamente cada qualcosa dal soffitto, almeno non ci fa venire un bernoccolo. O peggio...”. E si mette il suo casco a strisce bianche e verdi. In una manciata di minuti tutti e cinque sono pronti. Stivali fino all’ombelico, impermeabile leggero addosso, casco in testa, zaino in spalla e torcia alla mano. “Che figata, sembriamo davvero cinque esploratori”, dice Giacomo soffisfatto. “Per me sembriamo solo cinque scemi – commenta Carolina – Guarda quel vecchio in bici come ci osserva basito”, e indica un signore sulla settantina che percorre in bicicletta la strada accanto a loro e li guarda attonito. “Beh, ragazzi – chiosa Mauro – Come si suol dire: ‘sti cazzi’. In marcia”.

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