Presentato a Firenze il Premio Diari di Pieve Santo Stefano

L'elenco dei finalisti

a cura della Redazione
10/09/2013
Attualità
Condividi su:

Anche quest'anno Pieve Santo Stefano (AR) apre le sue porte alla memoria che non conosce crisi, tanto da dedicarsi un festival con tanti premi: dal 13 al 15 prossimi ospiterà  la 29ma edizione del premio Pieve Saverio Tutino, una ventina tra eventi e appuntamenti di prestigio con al centro appunto la memoria affidata ai diari. Otto sono quelli giunti in finale, tutti scritti da gente comune con vite straordinarie che hanno fatto pezzi di storia oggi racchiusa dall'Archivio diaristico.

Questa edizione si arricchisce di un premio direttamente dedicato alla memoria di Saverio Tutino e del suo essere in primo luogo giornalista; in un momento così delicato a livello internazionale, e nel quale spicca la liberazione dell'inviato de La Stampa Quirico, sarà presente a ritirarlo quella Francesca Borri che proprio dalla Siria porta la sua testimonianza di professionalità libera e in prima linea senza reticenze. Una sottolineatura merita anche, tra tante altre,  la presenza del cantante e scrittore Vinicio Capossela, premio Città del Diario, capace di donare all'Archivio dei diari il manoscritto originale dei suoi appunti di un viaggio nella Grecia squassata dalla crisi e divenuto un libro, Tefteri. Il libro dei conti in sospeso.

"Un premio che rappresenta qualcosa di importante per tutta la regione, sottolinenando la volontà, ben rappresentata dall'azione dell'Archivio e da premio, di coltivare la memoria come patrimonio collettivo ed individuale che deve mettere in condizione di compiere scelte fondamentali nella costruzione del futuro" ha affermato stamani l'assessore regionale alla cultura Cristina Scaletti illustrando l'iniziativa a Palazzo Strozzi Sacrati insieme al direttore scientifico dell'Archivio diaristico Camillo Brezzi. "Quello che accadrà nei prossimi giorni a Pieve Santo Stefano, nell'attuale momento storico-politico, dovrà essere per ciascuno di noi stimolo di riflessione soprattutto sul  tema della pace".

I FINALISTI

Adriano Andreotti
nato a Pieve a Nievole (Pistoia)
nel 1907 morto nel 1970
Patrie ingrate
memoria 1932-1967
Quando Adriano Andreotti scrive le sue
memorie è da poco rientrato in Italia
dalla Libia. Era partito trent’anni prima,
come tanti italiani influenzati dalla
propaganda fascista e spinti dalla
necessità di assicurare un avvenire alla
propria famiglia, andati in cerca di un’occasione di vita. In eterna contraddizione con me stesso,
sono sempre stato il contrario di quello che avrei voluto essere, sono sempre andato dove non
volevo andare [...] fino a quando il bisogno di lavorare mi spinse lontano dalla mia terra, in un
mondo che non cercavo, tra gente che non conoscevo, con altri emigranti senza passaporto, in
cerca di una fortuna che non arrivò.
Davanti ai suoi occhi scorrono le immagini di quella terra arida che solo il lavoro duro dei contadini
aveva trasformato: rivede le distese di ulivi e le vigne, gli irrigui, le case degli agricoltori
disseminate per la campagna assolata, i villaggi in cui si sentiva palare tutti i dialetti dell’Italia, le
strade percorse dai camion che avevano sostituito le carovane, i pozzi scavati nella sabbia. Riaffiora
il ricordo di uomini entrati nella memoria collettiva: il governatore Italo Balbo, padre Illuminato,
l’arabo Hamed.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale molti italiani decidono di rientrare in patria e coloro che
rimangono, tra i quali Andreotti, si sentono abbandonati. Tutto precipita: la steppa già sconfitta si
riprende i campi coltivati, la sabbia ricopre i cortili delle fattorie abbandonate e le strade. Anche
Adriano decide di lasciare la Libia per tornare in un’Italia ora molto cambiata, nella quale stenta a
ritrovarsi: Mi sembra di andare un’altra volta all’estero, tanto quella che ho lasciato, mi pareva
casa mia. Ma quando la Hostess ci prega di allacciarci le cinture di sicurezza, perché tra cinque
minuti atterreremo a Ciampino [...] io mi metto a piangere. [...] Roma: la riconosco, ma non mi
sembra più quella. Questa stazione non c’era, questa piazza è diventata più grande, la gente ha più
fretta, è meno educata, cammina indifferente tra tutte quelle meraviglie e ossessionata dal traffico
vertiginoso, più che dagli scrosci delle fontane, dal verde degli alberi, dallo splendore dei
monumenti, si lascia abbagliare dal richiamo delle vetrine. Il fatto che non ci sia più un arabo, che il
sole non scotti, che tutti parlino pressappoco come me, mi disorienta e mi stupisce, come se fossi
arrivato chi sa dove [...] Mi incuriosiscono invece i manifesti dei partiti: falci e fiamme, edera e
scudi. Ci sono scritte tante cose, tante cose inutili. [...] Anche le intestazioni, sembra che ce
l’abbiano con me: sembra che mi dicano: aggiornati! Ma come si fa ad aggiornarsi in questo
arcobaleno di colori e di sfumature, di improperi e di idee? Chi ha ragione? Forse, avevamo più
ragione noi di laggiù, che avevamo un solo partito: l’Italia!
Filiberto Boccacci
nato a Viterbo nel 1893
morto nel 1918
Scoppi irregolari
epistolario 1913-1918
Filiberto Boccacci ha vent’anni quando nel 1913 parte per il
servizio militare in fanteria a Genova. La separazione della
famiglia innesca una fitta corrispondenza dalla quale traspare
l’approccio entusiastico alla vita del giovane: Genova è
bellissima! Almeno per quello che ho potuto vedere, e noi stiamo
in un luogo veramente incantevole. Dalla branda posso vedere
tutto il porto e sto elevato da quello per un ottantina di metri.
Carattere aperto, sfrontato e pieno di vitalità: Filiberto si
inserisce nel contesto militare con spavalderia senza mostrare
preoccupazione per i venti di guerra che cominciano a soffiare
sull’Europa. Ha le idee chiare: vuol fare carriera nel più breve
tempo possibile e intanto si ingegna per lenire i disagi della vita
in caserma. E la famiglia è chiamata a rapporto: Ora veniamo al sodo. È giunto il momento di
sacrificarsi un po’ per me. Quindi speditemi subito (le sottolineature sono le sue, n.d.r.) per mezzo
di un vaglia telegrafico per lo meno 15 lire. Come vi ripeto questo è il momento di sacrificarsi per
me. In seguito verranno tempi migliori e tutto il bene che mi avete fatto ve lo compenserò siatene
certi. Con lo scoppio delle ostilità parte per il fronte, dove nonostante alcuni ricoveri ospedalieri
non perde la baldanza: certo, nelle sue lettere si insinuano riferimenti alle sofferenze della trincea,
nelle forme espressive caste e censurate concesse ai soldati, ma nonostante le difficoltà il
pragmatismo resta la cifra dominante delle lettere spedite ai genitori. Filiberto alterna toni teneri e
affettuosi a espressioni brusche e sbrigative: Per la seconda volta ti asserisco che non prendo la
paga da sergente ne’ quella da caporalmaggiore e che tutte le spese sono a mio carico. Per cui è
inutile che tu mi faccia tante spiegazioni: mi occorrono 75 lire al mese per vivere, quindi aspetto il
27 le rimanenti 50 che il babbo mi spedirà colla massima urgenza ed esattezza. Occorre mamma,
che vi mettiate bene in testa che ho 23 anni, che debbo vivere da me e tante altre belle e brutte
cose. Nel 1916 frequenta un corso come allievo pilota e ottiene il brevetto: entra in Aeronautica,
conquistandosi una posizione ambita e mitizzata dalle truppe di terra. Ma per Filiberto sarà la
morte. Il Ministero della Guerra lo destina alla difesa di Milano: partito dal vicino campo aviatorio
di Trenno per un volo di prova, sarà vittima di un drammatico incidente. Ad un tratto da terra si
percepì nettamente che il motore dava degli scoppi irregolari si legge in un verbale anonimo e non
datato dell’accaduto, che termina contraddittoriamente attribuendo lo schianto soltanto ad un
errore di manovra da parte del pilota ed escludendo ogni responsabilità disciplinare, tecnica, civile
e penale da parte di tutto il resto del personale. Chissà se Filiberto, avvolto nelle fiamme, la
pensava allo stesso modo.
Valerio Daniel De Simoni
nato a Sydney nel 1986
morto nel 2011
Sulla scia di Valerio Daniel De Simoni
diario/blog/mail/lettere/
3 luglio 2010 - Bronte, Sydney, Aus,
ore 13 “Seduto al sole”
Siamo così vicini, eppure così lontani.
Abbiamo fatto così tanta strada, eppure
non siamo neppure partiti.
Siamo in tre, ma viaggiamo come uno solo. Siamo giovani, eppure io mi sento vecchio.
Mi chiamo Valerio De Simoni, ma chi sono io? Io sono un essere umano, ma cosa siamo noi
veramente?
Io sono coraggioso, ma di cosa ho paura? Io partirò, ma tornerò, “io”?
Così scrive nelle prime pagine del suo diario Valerio Daniel De Simoni, nato nel 1986 a Sydney da
genitori italiani trasferiti in Australia per motivi di lavoro. Nel giugno del 2010 prepara un’impresa
straordinaria: attraversare l’Europa, l’Africa e rientrare quindi in Australia per battere il primato
mondiale di percorrenza su moto quad e raccogliere fondi in collaborazione con Oxfam per aiutare
due villaggi africani.
Il viaggio, organizzato con i due compagni Ted e Jamie, inizia ad Istanbul il 10 agosto 2010: da qui,
attraversando Turchia e Balcani, prosegue in Europa, toccando molti Paesi. All’inizio l’itinerario è
faticoso ma privo di insidie. In ottobre comincia la vera avventura: Africa in quad significa battere
strade accidentate, attraversare città dominate da un traffico senza regole, vivere sulla propria
pelle le tensioni che agitano gli Stati di transito. Sarà però questa la fase più intensa, in cui
emergeranno attriti e riappacificazioni nel gruppo, in cui più forti saranno le emozioni, più diretti e
autentici i rapporti umani con la popolazione locale, più forte la nostalgia di casa. Il 13 marzo 2011,
percorrendo le strade del Malawi e non lontano dal rientro, Valerio ha un gravissimo incidente
stradale: soccorso, morirà nell’aereo che lo sta trasportando in ospedale. Poche sera prima, in una
lettera che diventerà un involontario testamento, l’essenza nitida di questo giovane che sapeva
scrutare fuori e dentro di sé:
Mercoledì 9 marzo 2011 verso Monkey Bay. Sul traghetto “Ilala” sul Lago Malawi, Malawi.
[...] Ieri sera ho visto il tramonto più bello della mia vita. Arancio, rosa, rosso, verde, blu, bianco,
giallo, viola – un’immagine preistorica – con le acque tranquille del lago, qualche uccellino nella
distanza e le montagne del Mozambico come sfondo.Insomma, l’avventura è già a 210 giorni dalla
partenza da Istanbul. [...] È duro. Questo viaggio. È molto duro a volte. Tra noi tre ragazzi, con le
moto, con tutte le nuove culture, lingue, ambienti, confini regole, ecc. ecc. Insomma, sarà una gran
bella storia alla fine!
Valerio Daniel De Simoni ha lasciato un diario di viaggio articolato, composto dagli appunti che ha
tenuto nel suo taccuino, nei blog e nelle email spedite a famigliari e organizzatori della spedizione.
Sull’ultima pagina di questa testimonianza purtroppo manca la sua firma: Ted e Jamie hanno
portato a compimento l’impresa, forti della promessa che si sono fatti prima di partire, arrivando a
Sydney 14 mesi dopo.
Maria Sofia Fasciotti
nata a Lucca nel 1924
La mia casa deserta
diario 1948-1971
Maria Sofia Fasciotti inizia a scrivere il suo diario nel 1948: ha
24 anni, si è sposata da poco con il conte Angelo Gambaro
con il quale condivide origini aristocratiche e insieme al quale
si trasferisce a vivere nelle colline torinesi, in una villa con
uno splendido giardino. Si lascia alle spalle un’infanzia
trascorsa a Roma, dove si è laureata in Lettere Classiche, ma
soprattutto una giovinezza segnata da incomprensioni
familiari, e da una disparità di trattamenti con la sorella. Ma il
passato è solo un brutto ricordo rispetto al presente che
Maria Sofia si è costruita: I giorni volano, le settimane e i
mesi. Prima del matrimonio, la mia vita era come un’acqua
stagnante, e l’avvenimento tanto atteso, pareva che si allontanasse in definitivamente. Ma da che
sono sposata, tutto succede con una rapidità, e direi quasi inevitabilità meravigliosa. Così scrive nel
1948 sul suo diario, confidenzialmente chiamato Arsace, che interromperà solo nel 1971 dopo 23
anni di confidenze. La pace domestica si interrompe con la nascita e morte del primo figlio, al quale
ne seguiranno altri sette: Maria Clara, Paolo, Gregorio, Emanuele, Carla, Matilde, Marcella. Mentre
la famiglia pian piano si allarga, però, si evidenziano le prime crepe causate da una forte differenza
di carattere fra i due coniugi: “Lelo”, il marito, è concentrato principalmente sul lavoro, è spesso
assente e poco partecipe della vita familiare, mentre Maria Sofia dimostra di essere una donna con
un forte rigore morale e una risoluta personalità. È il punto di riferimento dei figli. Si occupa di loro,
aiutata da domestiche e da istitutrici inglesi, degli affari di famiglia, della gestione della casa e delle
controversie con i parenti. Questa vita sempre presa dalle preoccupazioni materiali, questo tempo
sempre impiegato nelle cose pratiche, e il non poter mai trovare un’ora di vera solitudine, di vero
silenzio senza che la porta non si apra all’improvviso e una voce indiscreta interrompa il tranquillo
fluire dei pensieri questo vivere lontano da ogni cosa spirituale, m’impedisce oramai di accostarmi
alle pagine non scritte, alle case deserte dei pensieri. Il diario accompagna la crescita dei figli, le
difficoltà dell’adolescenza, la loro ricerca di identità e le delusioni del matrimonio ma anche la
sofferta maturazione di Maria Sofia, donna alla ricerca di un equilibrio tra la realizzazione dei
propri interessi e la famiglia. La felicità dei nostri figli, ecco ciò che conta. Il resto passerà. Il Signore
non permetterà che io affondi, se la volontà è stata buona e giusto il fine.
Francesco Leo e Annamaria Marucelli
Francesco: nato a Milano nel 1913, morto nel 1984
Anna Maria: nata a Firenze nel 1912, morta nel 2005
Yol - 1511
epistolario 1940-1946
Quando nel luglio del 1940 la madrina di guerra
Anna Marucelli invia la sua prima lettera al tenente
Francesco Leo, non immagina certo che si sta
rivolgendo al futuro padre dei suoi figli. Lei è una giovane fiorentina che vive a Roma, dove lavora
come insegnante mentre lui, milanese, dopo avere aver combattuto come volontario in Africa
orientale ed essere stato congedato, insofferente della vita civile, rientra nell'esercito e finisce in
Libia dove lo coglie lo scoppio della guerra. La risposta di Franco, datata 18 luglio 1940, è
all’insegna di una strafottenza che cela il desiderio di instaurare un rapporto.
Signor Marucelli A. (Antonia, Agata, Appollonia, Albina, Agapita, ecc.) avrò trovato?
Oggi non ho nulla da fare ed ecco perché rispondo allo scritto che considero ambiguo ... e vi dirò
che sono molto sospettoso. So che molti usano fare scherzi, pazienza, ci cascherò io pure, ma
quella “A” vicino al vostro cognome mi sa di un possente nome mascolino. Inoltre desidererei
vedervi in fotografia, vi confesso che tengo molto all’estetica femminile e resterei molto male se
sapessi che colei che m’ha scritto fosse una 50 enne zitellona in cerca di tardive emozioni da
consumarsi alle spalle di un ignaro e innocente tenente. Non le mancherei di rispetto, però
preferisco corrispondere con una giovane e bella.
Pochi mesi dopo sarà fatto prigioniero dagli inglesi e inviato in un campo di detenzione a Yol, in
India. La corrispondenza però, a parte le interruzioni dovute alle più ovvie difficoltà, si infittisce:
Anna descrive la sua vita a Roma, Francesco le parla della sua vita monotona e, tra le righe, dei
suoi due tentativi di fuga falliti.
Intanto passano gli anni, la guerra finisce con i suoi strascichi di dolore e di odio. Le lettere si fanno
più intime e più esplicite ma rimarcano punti di vista diversi. Scrive Anna: La guerra è realmente
finita! [...] Questa pace è stata per noi un sollievo [...] Ma... quanta tristezza, Franco caro, come
diverso speravamo questo giorno!!! Ma ormai le recriminazioni sono inutili. Oggi bisogna solo
pensare a ricostruire, a riparare tutto il malfatto. Franco che ha vissuto lontano si è come
cristallizzato nelle sue posizioni: Cara Anna [...] Dopo le tue lettere di Pasqua non ho più saputo se
sei stata licenziata e se hai trovato una nuova occupazione. Che smemorato! dimenticavo che
proprio in questo periodo sarai stata occupatissima a correre da un’urna all’altra per dare tu pure
la tua adesione a Pinco Pallino, abbattere Tizio ed esaltare la politica di Caio. Sono al corrente di
tutto. Esclusa la soddisfazione provata dall’allontanamento di quei traditori chiamati Savoia (sia
pure per il rotto della cuffia), per il resto...
Francesco Sartori
nato a Tuscania (Viterbo)
nel 1875, morto nel 1960
Con occhi di padre
diario 1905-1910
È la nascita del primogenito Agostino, il 13 agosto 1905,
che stimola in Francesco Sartori il desiderio di dedicarsi alla
pratica autobiografica: trentenne, possidente originario di
Toscanella in provincia di Viterbo, comincia a scrivere un
diario che ruoterà intorno a due temi dominanti, portati
avanti sempre in parallelo. Il primo, più ancorato alla
dimensione privata, ci mostra un padre con una particolare
dedizione per la famiglia, e un marito che rinnova
costantemente l’amore per la moglie Alfonsina malata di
tubercolosi ossea. L’altro tema restituisce il profilo di un
uomo attento alle vicende lavorative private e agli eventi
pubblici, che annota minuziosamente il resoconto periodico
delle attività agricole, e con la stessa attenzione segue gli eventi politici e sociali dell’epoca: la crisi
in Russia, i primi scioperi, la diffusione del socialismo, il modernismo cattolico. In occasione delle
elezioni politiche del 1909 commenta così i risultati: Il 7 e 14 marzo ebbero luogo in tutta Italia le
elezioni politiche per la nomina dei Deputati. Interessante la lotta pel fatto che vi hanno preso
parte anche i cattolici. Sono entrati venticinque Deputati cattolici. I Deputati di estrema –Socialisti,
Repubblicani, Radicali – sono aumentati di numero, sono circa un centinajo. Il Governo ha in ogni
modo riportata vittoria. A Montegiorgio è stato eletto il campione della Democrazia cristiana: Don
Romolo Murri. Il Papa lo ha scomunicato. Voglia iddio proteggere il retto sacerdote e far sì che il
programma democratico cristiano un dì trionfi. Pubblico e privato si fondono perfettamente nelle
pagine lasciate da Francesco che ora indugiano in riflessioni sull’impegno civile e sulla sua attività
di assessore, ora sugli eventi nazionali e internazionali che animano lo scenario del primo
Novecento, ora in digressioni curiose e originali dedicate alla crescita del piccolo Agostino, che la
narrazione accompagnerà fino all’età dei cinque anni, momento in cui il diario viene interrotto.
Occupandosi personalmente del figlio e orgoglioso di essere padre, con puntuale attenzione,
Francesco descrive i suoi progressi, l’alimentazione spesso inusuale, lo svezzamento, il
comportamento, senza tralasciare la sfera affettiva e relazionale: Oggi il mio Agostino compie il 14°
mese di età. Egli è florido, grassotto, robusto, vivace, affettuoso. [...] Ha messo 6 denti incisivi e 4
superiori, 2 posteriori; i dentini già sono lunghi, ma quelli superiori sono radi e brutti. Cammina
benissimo; anzi vuol correre; è precipitoso. La mattina mangia la zuppa al cioccolato, ossia gli fa
cuocere bene del pane nell’acqua, poi vi si versano un cucchiaino di cacao e due di zucchero. Beve
poi il latte. A pranzo mangia buone minestre al semolino con brodo di vaccina. Spizzica qualcosa di
ciò che abbiamo a pranzo, beve vino.
Rosario Simone
nato a Orta Nova ( Foggia) nel 1960
Musafir
memoria 1980-1990
[...] Non bisogna ringraziare quando qualcuno compie un
dovere nei tuoi confronti, tu sei un musafir. Musafir. In quel
momento mi piacque moltissimo e subito mi innamorai di
quella parola che significa viaggiatore ma che è anche allo
stesso tempo viandante, persona che non dispone in quel
momento di una dimora o di una famiglia che possa
provvedere ai suoi bisogni. Il musafir è il forestiero per
eccellenza e l’ospite. Nell’estate del 1980, conseguita la
maturità, Rosario, in compagnia di un amico, decide di
partire alla scoperta dell’Africa settentrionale: arriva in
Tunisia, attraversa l’Algeria e infine giunge in Marocco.
Un’avventura, un viaggio di formazione, pensato per
sfuggire agli itinerari turistici attraversando Paesi anche con mezzi di fortuna. Un’occasione per
conoscere se stesso e che permetterà a Rosario di entrare in contatto con la cultura araba, di
scoprirne e apprezzarne gli aspetti più belli. Le scelte universitarie e lavorative successive
confermeranno la passione per i viaggi: tra il 1980 e il 1990 andrà più volte nei Balcani e in Medio
Oriente, anche per motivi di studio e di lavoro, aprendosi verso le altre culture senza riserve e
pregiudizi. Le pagine della sua memoria parlano di incontri inusuali, di amicizie nate per caso lungo
una strada, di occasioni colte e di opportunità sfuggite e spesso mettono a confronto un prima e
un dopo, impressioni di viaggi giovanili e il ritorno negli stessi luoghi nella “maturità”, ricordi di
letture affrontate a scuola su imprese epiche ed eroiche e il contatto con quella realtà prima solo
immaginata. Nel 1990 si trova in Iraq e alcuni inviati della Rai gli offrono la possibilità di collaborare
con interprete. La prima intervista la facemmo ad un reduce di guerra appena rientrato dalla sua
prigionia in Iran. [...] quello che andammo a trovare era un ragazzo coi capelli bianchi e suo figlio
stentava ancora a riconoscerlo perché fino ad allora l'aveva visto soltanto in una fotografia di dieci
anni prima. E mentre il prigioniero parlava suo figlio continuava a guardare, forse ancora
incredulo, quella vecchia foto del suo papà. Era un quartiere scita e la famiglia era scita perché
c’erano le immagini dell’imam Ali e dell’imam Hussein dappertutto. Raramente avevo visto un
essere umano così provato. Il giornalista gli chiese se sarebbe stato disposto a combattere ancora
per difendere la nuova provincia del Kuwait ed io tradussi la domanda al cospetto di un marazzone
del ministero dell’informazione. Gli uomini dei servizi infatti ci seguivano e ci accompagnavano
dappertutto. L’ex prigioniero, che ancora barcollava per la debolezza, rispose che sarebbe stato
onorato di tornare in guerra in qualsiasi momento. Mentre parlava per poco non cadde per terra.
Donato Vinci
Nato a Martina Franca (Taranto)
nel 1894, morto nel 1984
Ma Donato andò a Sud
autobiografia 1894-1931
Donato Vinci ha compiuto ottant’anni quando decide di
cominciare a scrivere le sue memorie, volgendo lo sguardo verso
un periodo specifico della vita che va dalla nascita, avvenuta nel
1894 a Martina Franca in provincia di Taranto, fino al 1931
quando lavora a Roma come agente di custodia. Cresce in una
famiglia di contadini e piccoli possidenti che dopo una serie di
traversie economiche, dovute a contrasti con i vicini e parenti, si
ritrova in miseria: per grande necessità fui avviato al lavoro,
quando avevo ancora otto anni è mezzo; Però il mio povero
Babbo, molto dispiaciuto di ciò, è mi promise di mandarmi alle
scuole serali, finché avrei voluto andarci, che così fù; Ma non
tanto profitto potetti fare, perché quando mi ritiravo alla sera tardi dal lavoro, ero sempre molto
stanco. Quando avevo appena dieci anni vi andiedi a lavorare per la prima volta nelle calabrie,
insieme al mio povero Babbo.
Nonostante le difficoltà Donato ha la fortuna di crescere in una famiglia onesta ed unita, dove
l’affetto e il rispetto reciproco aiutano i componenti a superare la miseria e la fatica e a mantenere
la fiducia in un domani migliore. Che però tarda ad arrivare: dopo anni di stenti, e proprio quando i
bilanci familiari cominciano a risollevarsi, scoppia la Prima Guerra Mondiale e Donato viene
arruolato e spedito al fronte. Dopo cinque giorni dal suo arrivo in trincea partecipa alla battaglia
del San Michele e viene preso prigioniero dagli austriaci e deportato in Serbia, dove sarà destinato
al lavoro di disboscamento e alla costruzione di una ferrovia. Il suo carattere mite gli sarà di grande
aiuto per sopportare il lungo periodo di reclusione, la lontananza da casa, gli stenti e la fame. Fin
quando l’evoluzione del contesto bellico non gli offre l’occasione per riguadagnare la libertà:
mentre aspettavo sulla via che veniva d’Alessandrovac, fui avvicinato da un giovane serbo, che mi
rivolse le seguenti parole: Colleco italiano, sentite il mio consiglio, io con questa carovana veniamo
da Alessandrovac, ove tuona attualmente il cannone. Vuol dire che i nostri avanzano, non passerà
che pochissimi giorni per essere liberati dai nostri, o dai nostri alleati. Dunque ti scongiuro non
andare più con gli austriaci e cerchi di nasconderti in qualche luogo, onde non farti trovare così fra
poco sarai liberato, e potrai andartene in Italia, mentre se fai al contrario, chi sa quanto duri
ancora la guerra ed ha subirne la prigionia per molto tempo incerto. Così detto mi concedai dal
giovane serbo, con la testa assorta in mille pensieri. Con un gruppo di compagni sceglie
coraggiosamente di non seguire la ritirata dell’esercito austriaco: decide di dirigersi verso Sud, fino
ad arrivare a Salonicco dove, dopo essersi imbarcato su una nave italiana, rientra in patria. Dopo la
guerra non riprenderà il lavoro nei campi, ma si impiegherà nella polizia penitenziaria. Durante tale
impiego si dedicherà alla rilegatura di libri e ad altri lavori manuali, addestrato anche da
competenti “reclusi” addetti al laboratorio del penitenziario.
Nel tempo libero frequenterà a Roma musei, gallerie d’arte e una scuola serale di disegno.

Leggi altre notizie su Arezzo Oggi
Condividi su: