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"Io e te" la recensione di Roberta Maggi, da oggi nuovo appuntamento su "Cinema cinema"

All'interno i risultati del sondaggio su 007 e le informazioni sui film in sala, in primo piano "Skyfall"

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"Essere Io e te"  di Roberta Maggi (Laureata in Storia e critica del cinema)

Nel parlare di Io e te del maestro Bernando Bertolucci, partirei da un certo momento quando, durante la convivenza in cantina i protagonisti, Olivia e Lorenzo, fratelli di padre ma praticamente sconosciuti, si confrontano sull'attività di lei: la fotografia.
Olivia spiega che si è dedicata a una ricerca molto singolare sulle immagini, ai confini del buddismo rivela lei stessa - ecco una eco sofisticata di questa disciplina filosofica evidentemente cara a Bertolucci dopo il colossal del 1993 dedicato al fondatore. Con quelle immagini, Olivia svela di voler ricondurre la persona alla materia indifferente, all'essere muro, all'uomo cioè privo di punto di vista. È quest’ultimo che rende diverse le persone. "Come io e te", dice riferendosi a se stessa e a Lorenzo.
Bertolucci, invece, non è privo di punto di vista rispetto al romanzo di Ammaniti e lo dimostra con questo film compatto, complesso, denso. È un punto di vista che rispetta innanzitutto il testo omonimo ma se ne distacca anche, conferendo alla pellicola vita autonoma con il pregio ulteriore di non mascherarsi da semplice adattamento d'occasione.
Il regista muove dal disagio, parte da quello che il giovane protagonista Lorenzo non sa ancora affrontare, nei confronti della famiglia e delle aspettative sociali; poi si sposta su quello di Olivia che ha trovato un modo discutibile e feroce di affrontare il suo, e con loro arriva alla soluzione, che non è affatto la ri-soluzione bensì un'agevolazione da cogliere rispetto alla scelta della solitudine a della fuga.
Come fa un autore a tradurre in immagine e a trasmettere in maniera non scontata tutto questo? Usa un punto di vista che è solo suo, prezioso, quasi indescrivibile, usa la sua arte, la "sua"  fotografia, la sua capacità di cogliere in un interprete la perfezione di e per rappresentare quella storia.
Così, il disagio è nei primi piani del volto acneico di Lorenzo, nel suo sguardo pungente, disagio è nel modo in cui dobbiamo vederlo mangiare, disagio è osservarlo mentre accudisce le formiche con convinzione, disagio è una pellicciona nera in una cantina polverosa, dei denti radi sotto un rossetto sbaffato, la bellezza trafugata dall'astinenza alla droga.
Quella cantina, che è quasi il centro unico della scena, diventa palcoscenico a seguito di un'intrusione: Lorenzo vorrebbe passarci da solo una settimana, facendo credere alla madre di essere in settimana bianca con la scuola, ma Olivia irrompe prima per futili motivi poi per avere un rifugio dove uscire pulita dall'eroina. Solo un artista che conosce la potenza del cinema, quel mix insondabile e magico di fotografia-montaggio-sceneggiatura-sonoro-musiche-recitazione, può produrre una metamorfosi del genere e creare uno spazio multiforme di emozioni dove disagio diventa calore, dolore, forza e coraggio. Infine amore e agevolazione.
Nella non-solitudine forzata si può trovare un modo per superare ciò da cui vorremmo scappare, vada come vada. Io con te siamo qualcosa.

 

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