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“Il manicomio è casa mia”

La storia di Mario Stefani, folle per sbaglio e uomo per scelta

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Entrò in manicomio a 15 anni nel 1937. Né uscì solo quando l’ospedale non esisteva ormai più. Imboccando la strada verso la casa di riposo di Stia disse una sola frase: “cosa altro potevo fare, lì chiudevano…”.

La storia di Mario Stefani è diventata un libro, Il manicomio è casa mia,  pubblicato dalla casa editrice romana Liberetà nella collana PassatoFuturo. Verrà presentata nel corso di un convegno che il sindacato pensionati Cgil ha organizzato per venerdì 15 febbraio, con inizio alle ore 9.30, nell’auditorium Pieraccini nell’ospedale San Donato. Interverrà Carla Cantone, segretario nazionale dello Spi Cgil.

La storia di Mario Stefani è quella di un ragazzo di 15 anni che nel 1937, in seguito ad una serie di attacchi epilettici, venne ricoverato al Manicomio provinciale di Arezzo. Vi restò ininterrottamente fino al 1991, passando poi in una struttura di “transito” attivata per ospitare lungodegenti dopo la chiusura dell’ospedale psichiatrico. Qui visse fino al 1999 quando accettò il trasferimento nella Rsa di Stia della quale è tuttora ospite.

Ragazzino vissuto nella montagna casentinese, orfano di padre poco tempo prima del ricovero, venne strappato al suo ambiente e rinchiuso in un luogo più carcerario che di cura. Le sue condizioni mentali migliorarono rapidamente ma lui restò in manicomio ritagliandosi uno spazio considerato unico dagli stessi operatori come testimonia la cartella clinica conservata presso l’Archivio storico dell’ospedale neuropsichiatrico nell’università aretina. Privo di strumenti culturali, diventò una sorta di piccolo assistente per gli infermieri svolgendo i lavori più difficili e più sporchi: dal lavare i malati al vestire i morti. Si guadagnò l’appellativo di “infermierino”.

“Stabilizzata” la sua vita all’interno della struttura segregativa, visse con diffidenza se non con ostilità la progressiva chiusura del manicomio e quindi il ritorno a casa dei pazienti. Rifiutò le dimissioni definitive e continuò a considerare il manicomio la sua casa. Diventando, così, un vero e proprio esempio degli effetti dell’istituzionalizzazione psichiatrica.

Alla fine, ormai ultra ottantenne, accettò il trasferimento nella Rsa di Stia. Dall’età di 15 anni, quindi, non è più tornato a casa né ha vissuto in libertà.

Alla storia di Mario, raccontata da Claudio Repek, si aggiungono le interpretazioni e le riflessioni di protagonisti di quel periodo e che hanno conosciuto Mario Stefani in ospedale psichiatrico. Quindi Anna Franca Rinaldelli, assistente sociale e psicoterapeuta della famiglia che ha lavorato  in Opn dal 1968 al 1974 e Gian Paolo Guelfi, psichiatra nella stessa struttura dal 1971. Entrambi stretti collaboratori di Agostino Pirella, protagonista della chiusura del manicomio. Con loro Italo Galastri, assessore e vice Presidente della Provincia al momento della scelta non solo culturale ma anche amministrativa di chiudere il manicomio.

La prefazione del volume è di Carla Cantone, Segretario generale dello Spi Cgil che a proposito della volontà di Mario Stefani di restare in manicomio, scrive: “leggendo questo libro abbiamo imparato un po’ a conoscere il suo carattere, il suo accettare tutto, anche la follia, il suo tenersi dentro, insieme con il suo, anche il dolore degli altri. Probabilmente questo mistero rimarrà chiuso nel suo silenzi”.

E Mario Stefani, oggi novantunenne, sarà all’auditorium Pieraccini venerdì prossimo nel convegno che, dopo i saluti del Sindaco Fanfani, del Presidente della Provincia, Vasai e del Direttore generale della Asl 8, Desideri, sarà aperto dal Segretario provinciale dello Spi, Giuseppe Selvi e da Elza Poponcini, responsabile dell’organizzazione dello stesso sindacato. Seguiranno gli interventi di Rinaldelli, Guelfi e Galastri. Il convegno sarà moderato da Marzia Sandroni, Responsabile dell’Ufficio comunicazione della Asl 8. E  concluso da Carla Cantone, Segretario nazionale Spi Cgil.

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