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Insufficienza respiratoria acuta: nuova tecnica applicata per la prima volta ad Arezzo

Si chiama “decapneizzazione” e serve a ripulire il sangue dall’anidride carbonica. Il neodirettore Scala spiega come funziona questa tecnica non invasiva

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Si chiama “decapneizzazione”. Una parola difficile e praticamente sconosciuta alla quasi totalità delle persone. Anche perché si tratta di una tecnica raramente applicata nel nostro Paese e non solo, in fase sperimentale solo nei migliori centri italiani di pneumologia. Adesso questa parola diventerà più comune anche nel lessico degli aretini: si tratta infatti di una tecnica che  per la prima volta è stata eseguita ad Arezzo e rappresenta per l’ospedale San Donato un altro anello di quella collana di eccellenze di cui gli aretini possono essere orgogliosi.
IN COSA CONSISTE LA DECAPNEIZZAZIONE?
Il dottor Raffaele Scala, che dopo una serie di esperienze in alcuni centri fra i più qualificati d’Italia e all’estero è tornato da un anno ad Arezzo alla guida della Pneumologia, ha personalmente attivato la procedura di decapneizzazione  su una sua paziente.
“Si tratta – spiega Scala – di una tecnica di rimozione extra-corporea di anidride carbonica (CO2), per trattare una grave forma di insufficienza respiratoria acuta con accumulo di anidride carbonica, in pazienti con grave malattia respiratoria avanzata e che non rispondono alla ventilazione meccanica non-invasiva.”
E’  un sistema fortemente innovativo: “si basa sull’uso di una speciale apparecchiatura, una sorta di “polmone artificiale”. Diversamente dalla ventilazione meccanica – entra così nel dettaglio Scala - la decapneizzazione non utilizza la “via polmonare” per eliminare la CO2 accumulata, ma al contrario la “via circolatoria”, mediante il posizionamento di un catetere in una vena sopra la piega dell’inguine. Il vantaggio per il paziente è di non dover subire la pressione del ventilatore meccanico che forzatamente fa entrare ossigeno nei polmoni e fa uscire l’anidride carbonica prodotta dall’organismo, mediante una maschera che il paziente deve sopportare sul viso, come fa la ventilazione non invasiva o mediante un tubo che deve essere posizionato e mantenuto in trachea, come fa la ventilazione invasiva. La rimozione della CO2 in questi casi è indispensabile in quanto il suo progressivo accumulo nell’organismo provoca effetti tossici su diversi organi portando alla morte il paziente.”
IL CASO DELLA DONNA SOTTOPOSTA A QUESTA TECNICA
La paziente, una donna aretina di 83 anni, portatrice di una malattia respiratoria cronica molto avanzata, già in trattamento domiciliare con O2, 24 ore su 24, era andata incontro ad una severa riacutizzazione. Ricoverata nell’UTIP (unità di terapia intensiva pneumologica) della Pneumologia Aretina, purtroppo non aveva risposto all’applicazione prolungata della ventilazione non invasiva. L’equipe medica pneumologica aveva proposto alla donna il ricorso all’intubazione e il trasferimento in Rianimazione che era stato però categoricamente rifiutato dalla paziente, anche di fronte al giustificato timore di complicanze, quali le infezioni e il rischio di dover vivere con la tracheotomia collegata ad un ventilatore meccanico. “Per queste ragioni – spiega il dottor Scala - abbiamo proposto alla donna di sottoporsi a questa tecnica sperimentale, applicata con risultati incoraggianti in malattie croniche simili e avanzate, in pochi casi trattati in soli due centri in Italia, Bologna e Torino, con cui abbiamo stretti contatti per protocolli di studio sulla ventilazione meccanica. Senza questa nuova opzione terapeutica non ci sarebbe stato più nulla da fare e la donna si sarebbe dovuta arrendere al decorso inesorabile della sua malattia. Dopo solo 8 ore di trattamento con la decapneizzazione – ci racconta il direttore della Pneumologia - i valori di CO2 sono scesi di 30 punti e le condizioni della paziente sono rapidamente migliorate, a un punto tale da non necessitare più della ventilazione non-invasiva. La signora è stata quindi dimessa e portata nella sua abitazione, dove continua il trattamento con solo ossigeno”.

L’ATTIVITA’ DELLA PNEUMOLOGIA ARETINA
Se con l’avvio in fase sperimentale della decapneizzazione, si arricchisce l’offerta di cui è capace il San Donato, è bene sapere che la Pneumologia aretina era già di altissima qualità.  L’ UTIP di Arezzo, infatti, vanta con lunga esperienza nel trattamento dell’insufficienza respiratoria. La struttura, costituita da una affiatata équipe di medici, infermieri ed operatori sanitari,  è stata potenziata nell’ultimo anno con la riapertura di 3 posti letto, che erano stati chiusi per motivi congiunturali, e dotata di un infermiere dedicato. In 5 anni l’UTIP ha trattato più di 700 casi di pazienti con insufficienza respiratoria acuta grave, utilizzando nel 70% dei casi la ventilazione non invasiva e nel 30% la ventilazione invasiva mediante tracheotomia, con un tasso di mortalità del 10%, in linea con i dati della letteratura internazionale. In particolare, l’uso della ventilazione non invasiva da parte di un team esperto di infermieri e pneumologi, ha evitato in più dell’80% dei casi il ricorso all’intubazione e il trasferimento in Rianimazione. Oltre ai vantaggi per la salute dei pazienti, sono evidenti altri vantaggi, fra cui quello di una minore occupazione di posti in rianimazione, con altissimi costi e gravi disagi per pazienti e familiari.  L’UTIP aretina vanta anche una fertile produzione scientifica, con lavori pubblicati su riviste prestigiose e presentati a congressi nazionali e internazionali, riguardo l’uso della ventilazione non invasiva nel coma ipercapnico, nel paziente con polipatologie e nelle fasi precoci dell’ictus ischemico, l’impiego della broncoscopia associata alla ventilazione meccanica, la valutazione del carico di lavoro infermieristico in UTIP.

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