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L'avversario

La recensione di Marco Caneschi

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Vi siete mai sentiti avversari? Sento già le risposte: io ho avversari politici, io calcistici… queste però implicano un altro con il quale confrontarsi. Dico, avversari di voi stessi. Proviamo a riformulare la domanda utilizzando un supporto letterario, da non regalare a chi deve affrontare alcuni delicati giorni di degenza ospedaliera (significherebbe assestargli il colpo di grazia). Ecco qui: avete mai vissuto un solo giorno come Jean-Claude Romand, il personaggio di Emmanuel Carrère? Personaggio mica tanto, visto che la storia è cronaca francese a 360 gradi di cui i transalpini parlano, o tentano la rimozione, quanto da noi è stato, che ne so, per la banda della Magliana. Leggete il romanzo o recuperate il film con Daniel Auteuil. Anzi, leggete il romanzo, il film è mediocre. Per l’appunto: L’avversario. In Italia uscì per Einaudi e oggi lo ha ripubblicato Adelphi.

Voglio girare poco attorno al discorso: Romand ha fatto fuori genitori, moglie e figli, poi ha tentato di togliersi la vita. Per quale motivo? Aveva indotto gli altri, tutti, a credere che vantava un curriculum eccezionale, tipo una laurea con abbraccio accademico quando non aveva dato uno straccio di esame; un lavoro a Ginevra all’Organizzazione Mondiale della Sanità, non in una panetteria, e invece ogni giorno usciva, sì, di casa ma per consumare tempo fra squallidi motel e aree di parcheggio in autostrada. Ha visto milioni di auto sfrecciare ignare dei suoi mostruosi dilemmi. I genitori, i suoceri e gli amici erano persuasi che gestiva i loro risparmi in fondi dal rendimento assicurato: quindi, giù a prestare contanti che Romand spendeva per mantenere un dignitoso tenore di vita. La cosa più straordinaria è che questa finzione è durata anni. Avete capito bene.
Anni senza che nessuno abbia indagato, sospettato, domandato. In paese era visto come un marito e padre modello. Anni durante i quali Romand ha partorito il progetto omicida realizzato il 9 gennaio 1993. Perché arrivato a un certo punto non poteva andare avanti: il pensiero di una vergogna insostenibile dinanzi alla scoperta dell’inganno lo ha schiacciato. Le avvisaglie erano già in qualche contraddizione e nella difficoltà a rintuzzare l’insistenza del suocero che chiedeva indietro un po’ di franchi investiti. Toccò proprio a quest’ultimo inaugurare le morti… indotte.
Infine, tre giorni dopo le feste natalizie, a settantadue ore dall’epifania, settantadue interminabili ore, il destino colpisce la moglie e i due figli. Il giorno successivo i genitori, presi a fucilate. A quel punto non resta che dare fuoco all’abitazione, dove sono stati lasciati i corpi dei familiari. Romand per fortuna, o purtroppo, scampa al rogo e si becca l’ergastolo nello stupore di una nazione. Oggi quest’uomo è ancora guardato con una punta di insana meraviglia: per il fatto di avere portato avanti non per una stagione un quotidiano cambio di maschere. Manca il coro sennò torneremmo all’Attica di Eschilo e Sofocle.
È toccato a tal Emmanuel Carrère andare in penitenziario, chiedere un incontro, avere il permesso dalla direzione carceraria e guardare in faccia la Follia. Romand è diventato quel che è diventato per una banalità, tipo una telefonata mancata. Da questa incidentale omissione di chissà chi, è partito un processo di frantumazione in tanti Jean-Claude tra loro nemici. Alla fine uno ha preso il sopravvento, il peggiore purtroppo, L'avversario più feroce. Eppure è del tutto impossibile rivedersi in lui, pur non arrivando agli estremi drammatici della storia? Fermiamoci, ciascuno può avere nel suo retrobottega un ricordo tipo questo che mi è stato raccontato.
“Correva l’anno, non importa quale, era l’anno della patente e di una storia adolescenziale che finiva. Siccome avevo fatto la cazzata di fare conoscere ai miei genitori la tipa, e loro si erano affezionati, capirai, non mi andava di riportarli alla triste realtà del: senza rancore ma ci siamo lasciati. Per due o tre mesi li illusi che quando uscivo con la macchina fresca di libretto di circolazione, era per fare il piccioncino. E loro mi credevano in centro abbracciato, a mangiare una pizza o, se proprio si facevano prendere dalle fantasie spinte, intento a pomiciare sui sedili reclinati che ancora profumavano di nuovo. Invece ero sotto pochi cipressi, seduto in auto, ma solo soletto e in preda alla meditazione, in un gioco mentale irriverente che mi distraeva dalla lettura, l’unico modo per ingannare l’attesa del rientro fra le mura domestiche. Ho divorato un po’ di libri in quel periodo. Almeno sulla carta, perché poi non ricordo molto di quelle pagine, visto che la concentrazione languiva a causa del dispiacere e della speranza, che giorno dopo giorno sfiorì finché non mi abbandonò. E decisi di confessare la mia nuova condizione di single. E mica posso condannarmi se ripenso a quel breve tratto di vita quando spacciavo la mia presenza in un luogo e vagavo da tutt’altra parte”.
Questo amico si è dunque ritrovato alle prese con uno trucido motel di pensieri mentre assaporava il dolce gusto dell’inganno. Il Lui che bighellonava era L'avversario del Lui che i genitori pensavano in compagnia. Un Romand in potenza, è così. Lo sono stato pure io, riflettendoci. E voi?

 

Emmanuel Carrère
L'avversario
traduzione a cura di Eliana Vicari Fabris
Milano, Adelphi, 2013
pp. 169

 

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