Proseguiamo il nostro viaggio attraverso la Costituzione della nostra Repubblica e parliamo questo mese degli articoli 4, 5 e 6.
L’articolo 4 riconosce il lavoro come diritto di tutti i cittadini. Ciò non significa che lo Stato è obbligato a fornire a ciascuno un lavoro, bensì che ogni individuo ha piena facoltà di realizzare la propria persona nel lavoro che vuole, senza ingerenze dell’apparato pubblico e ben lontano da una sorta di “programmazione pubblica” che farebbe ricordare, per lo più, i sistemi sovietici e le dittature in genere.
Il compito dello Stato, semmai, è quello di fare in modo che questo diritto sia effettivo, mettendo ciascuno nella possibilità di scegliere e organizzare il proprio lavoro non per necessità ma in maniera libera.
Il lavoro non è soltanto un diritto, ma anche un preciso dovere verso la collettività.
Infatti, dal momento che la Repubblica è fondata sul lavoro (come dice l’art. 1) e non sui privilegi o sulle rendite di classe, la parte finale dell’art. 4 precisa che ogni cittadino deve fare qualcosa che concorra al progresso della società, rendendosi pertanto utile e responsabile del benessere (non solo proprio) e rifuggendo forme di parassitismo o di menefreghismo verso le persone che lo circondano.
L’articolo 5, dopo avere ribadito che l’Italia è “una e indivisibile”, rappresenta il pilastro dell’organizzazione territoriale dello Stato e della valorizzazione del così variegato territorio italiano, alla quale deve ispirarsi tutta la legislazione.
Infatti, si prevede la promozione delle autonomie locali (i comuni, le città metropolitane, le province e le regioni) ed il più ampio decentramento possibile per quanto riguarda le funzioni amministrative che spettano allo Stato. Si tratta del principio fondamentale che verrà sviluppato nel sistema di rapporti e nel riparto di competenze previsti dagli articoli 117 e seguenti e dei quali parleremo meglio più avanti.
L’articolo 6, infine, prevede che la Repubblica tuteli con apposite norme le minoranze linguistiche.
Numerosi sono, infatti, i gruppi etnico-linguistici che conservano lingue non italiane (ladino, francese, tedesco, albanese, etc…). Oggi questa tutela è ben visibile in varie forme, come l’insegnamento scolastico o la realizzazione bilingue di tutti i documenti e gli atti amministrativi.
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